martedì 13 ottobre 2009

vivere il tempo

Silenzio.
Affacciandoti alla finestra vedi che il cielo sta per imbrunire: anche se con lo scarto di qualche minuto, dovuto forse a qualche nuvola, o alla volontà di qualcuno lassù, esso tramonta alla stessa ora di ieri, e, con tutta probabilità, di domani.
Sforzati di ascoltare i rumori che vengono da fuori: stesso rombare di motori, e le nuove Panda della Fiat, e i soliti GTT, Cavourese e Sapav. E se provi ad ascoltare i rumori provenienti dalle altre stanze, ti accorgerai di sentire le stesse persone che seguono lo stesso programma di ogni giorno sulla stessa tv.
E poi ti ritrovi a fermarti sul tuo letto, in un silenzio illusorio, a pensare alla tua impotenza di fronte alla ripetitività di ogni giornata, a questo scorrere inesorabile del tempo, seppur sempre forse eccessivamente simile nel suo proseguire. Ti rendi conto di come in fondo questa sorta di grande “Routine” globalizzata sia un conforto per tutti e tutto, sia una delle poche vere certezze rimaste, seppur fonte forse di frenesia e di ottimizzazione del tempo e quindi anche di eliminazione, quantomeno per la mente, del tempo “libero”, o dedito a pensare. E ti accorgi anche che sia io che scrivo di questo, che tu che pensi a questo, stiamo uscendo, evadendo dalla routine, infrangendo la grande legge del ripetersi sempre uguale di ogni cosa.
Intanto che te ne stai a pensare, nel tuo stereo parte una canzone del 1978 di un tale di Zocca, che canta “E intanto tu continui ad invecchiare, sempre convinto che gli anni migliori debbano ancora venire!”
E capisci che quel tale della canzone non vivrà mai i suoi anni migliori, totalmente privato di autonomia da questa Routine devastante che da soli ci costruiamo. Ed intanto hai trovato nel tuo riflettere, nell’analizzare le cose, il tempo ed il suo scorrere inesorabile, una novità. Questa novità ti stupisce, ti lascia perplesso e ulteriormente meditabondo. Ma intanto per oggi ti ha salvato dalla routine. Ed intanto ti accorgi che da quando hai iniziato a pensare è passata almeno mezz’ora ed il sole ancora non è tramontato. E tra te e te pensi che il domani non riesci ad immaginartelo minimamente, che sarà una sorpresa che soltanto viverla la renderà straordinaria, e l’immaginarsela prima forse addirittura la banalizza. E così te ne esci per strada a sentire il vento soffiare e ti accorgi che non ci avevi mai fatto caso, ma che anche una farfalla, se l’ascolti, può urlare. E pensi “Che sorpresa continua è questa vita…”.


ottobre 2007

domenica 13 settembre 2009

12 09 09

E domani già è giunto.
Con disappunto il sole si leva,
un'alcova non accogliente
m'accoglie ancora dormiente,
e il vento sulle foglie
è un eterno conato
mai saziato:
lo schifo di una bulimia fittizia,
di una poesia che par scritta in ospizio.

Una brezza nemica
sulla mia faccia stupita
che non si rende conto
che il conto è stato reso.
Il peso gravitazionale della disperazione
gravita su di me,
circondato da persone sconosciute
da lingue che mai tacciono
ma restano mute,
e sembra così assurda, la salute.

Il desiderio che si perda ogni luce
mi conduce alla scelta di non scelta
mentre s'è divelta ogni speranza,
mentre si sgretolano istanti
in me ancora stanti
e ora troppo distanti.

E forse è dura,
forse la cura è questa paura
della tua figura,
e questo calore
che mi imbratta, in ogni canto di me.
Ma non saranno poi così infime
queste lacrime che non voglio asciugare,
che ho paura a mostrare
nel silenzio delle tue parole,
quando alla fine s'è mostrato di nuovo,
il sole...

C.

sabato 22 agosto 2009

Buona notte

Il silenzio mai scalfito, ma solo contemplato, con il rock 'n grill, nella notte, impara dalla morte la pace e la tranquillità, e impara dalla vita la rincorsa per la quotidiana vitalità...
Affannano un poco sul cammino verso il cielo la cenere, l'arsa legna ed il fumo su per il camino, la strada per l'inverno ancora deve cominciare, durante l'eterno girare fermo sta quel pensiero che con una goccia, con o senza sereno, regala un po' di arcobaleno. Un architetto che non si sa ne disegna la curvatura; io, pago della sua bravura, mi domando un perché, un se c'è. Ma importa poco, di fronte a manifestazione, quale sia la causa, se non meraviglia, che forse è conseguenza. Mi taccio da solo, impotente sotto la coltre di stelle, preferendo audir solo il gracchiar di raganelle nell'afosa sera in cui l'abbaiar, che diverge dal canto di Orfeo, rompe il sonno, anche il più plebeo, compromettendo 'l diletto di Morfeo. Ma cosa importa di strani dèi d'altri mondi? Quel che importa è che ancora la lama s'affondi nel cuore della notte, carica di pensieri silenziosi, a cui ogni forza sia data, compresa quella del non disturbo, compresa quella del saper cullare, compresa quella del saper ascoltare, saper consolare. Compresa quella del riuscire, da te, ad arrivare...

Carlo

mercoledì 29 luglio 2009

Per chi viaggia

Sulle ali dell'orizzonte
più luminosa del sole
più limpida dell'acqua di fonte
più forte di tutte le parole
Naviga e va e suona
questa... canzone...
Per chi parte,
lasciandosi tutto alle spalle
Per chi ogni cosa
la vuole sentire sulla pelle
Per chi viaggia
senza alcuna destinazione
Per chi viaggia
perché non ha abitazione...
Sui fogli d'un vecchio quaderno
tra le canzoni trasmesse in radio
tra le bestemmie dell'inferno
in mezzo ai cori da stadio...
Pur scritta, vola via
questa imprecisa melodia...
Per chi si sbatte
e non arriva a fine mese
Per chi è nato lì
ma non si riconosce nel suo paese
Per chi ancora ama
ed è il suo modo di tirare avanti
Per chi ancora spera
e sorride a tutti i passanti...
Per chi nel cuore ancora crede
per chi sta dalla parte delle prede
per chi all'odio sostituisce ammirazione
per chi se la sente, andrà questa canzone...
Per chi semplicemente ancora
Per chi nonostante tutto
Per chi nonostante tutti
Per chi viaggia...
C.

domenica 7 giugno 2009

In verità vi dico


In verità vi dico
Che la verità non ha profitto
E la verità io non ho mai scritto.
In verità vi dico
Chi ha la verità è l’eterno sconfitto
Perché alla verità è scaduto l’affitto.

domenica 22 febbraio 2009

...come l'ubriaco beve senza rimpianto

Guarda: la notte è scesa su noi
la botte di vino ancora non è finita
una botta di vita ancora, e poi
torneremo alla ricerca d'un altro mattino.
L'aurora si riflette nella nostra fantasia
giochi di immagini che ci appaiono e sfuggono
e confondendosi vanno via, lasciando soltanto
quelle sfocate d'un canto della bettola dove siamo.

Chi mi ha condotto fin qui, presso
questo locus amoenus di birre rovesciate
di giovani drogati che fanno sesso
con puttane invecchiate col preservativo in mano?
Ridammi il lume, voglio la candela
lo vedi laggiù, fuori dalla finestra?
c'è un fiume. Scosta un po' la tela
sulla riva, un fiore di ginestra è già sbocciato.

L'alba allora non è così lontana!
Iddio ha ancora orecchio per chi lo bestemmia!
Rintocca già il batacchio della campana
alla prossima vendemmia certo non mancherò.
Come non manca alla messa chi odia Dio,
ma non finirti tutta la bottiglia, amico,
in cosa intingerò la mia penna io?
Ed infine, sii impudìco, giovane amante
e torna ad amare, senza sentenze
come l'ubriaco beve senza rimpianto.

Carlo Guassone

giovedì 19 febbraio 2009

Apocalyps tomorrow

Va bene. Una valigia ed un po' di caldo anche per chi non è autorizzato. Nella speranza della chiusura dei lagers del nuovo millennio.
E se domani ci rinchiudessimo da soli?
Mettiamo il caso che quello che basta alla gente sarà solo la propria ombra.
E la perduta felicità, la perduta capacità di intelligere, null'altro sarà che meno di un ricordo di un tempo remoto. E succhieremo i cazzi ad altri uomini, e le donne si leccheranno le fiche ed il Papa sarà una donna rimasta incinta di suo padre, e sua madre la puttana che incontri la sera nelle vie delle case popolari. E la luna soltanto un punto dei tanti nell'infinito cielo oscurato dai gas dei reattori. E l'alba atomica sarà di notte.
E tu stattene a leggere il giornale, e tu guida questa opposizione, e tu continua coi tuoi lifting, e noi perdiamoci dietro parole fatue e canzoni stonate. E torneremo gloriosamente stupidi.
E torneremo a mozzare le teste, a parlare di popoli, a creare popoli, e terre, e guerre.
Ma senza la risorsa prima venuta meno. E con qualche religione in più.

domenica 1 febbraio 2009

...buonanotte...

...e raccontami ancora un po' di quelle volte che uscivi con quel tale, che sì, "sembrava un tipo tutto apposto e per bene" e poi ti urlava, a bassavoce, di succhiargli il pene... perché quelle volte che uscivate erano lontano...I tuoi discorsi fuori dal tempo e dallo spazio che già sfioravano l'iperuranio dei posti di lavoro che se ne vanno...E vorrei parlare ancora con chi dice che è un bene che i politici son neri e che son giovani ed abbronzati e pure laureati, e sanno come vanno le cose in medio oriente dove da mangiare non c'è più niente e da capire non c'è mai stato un fico essicato...e parlami dei tuoi diciotto anni e di ciò che vedi tra le persone che ti stanno intorno e che ti guardano e che ti offrono un bicchiere da dietro il vetro delle loro canne di frasi fatte e di perbenismo...e chiedersi ancora se è vero che c'è un Dio e c'è una Chiesa e se non è più corretto parlare di denaro e di borsa, o se in ballo c'è ancora un'idea e un ideale per cui morire o soltanto guadagnare......e già che viaggia il tempo su di una curiosa macchina, io che sto qui, con il mio moto uniformemente accelerato alla ricerca di una velocità istantanea che neanche un autovelox o un professore di fisica riescano a teorizzare, ma gennaio è già finito, un altro mese cominciato, e già si profila un altro giorno, un altro sole o forse solo un'altra notte, un'altra brina e forse la neve......e parlami del freddo che fa in città tra quelle vie meno coperte dai seni dei portici e dai negozi borghesi da cui escono commesse proletarie a dare un pane ad un musico o un barbone...E tu raccontami dei business plan e dei locali mai troppo pieni e di quel glen grant che ti ha fatto oltrepassare il limite del tasso alcolico nelle vene che si stopicciano dentro te per sopportare il liquido e poi smaltirlo e scamparti una multa della tuta blu che non è tuta d'operaio, non sa viver nel mortaio e che è una marionetta della galera patria in cui non puoi ammazzare i tuoi organi vitali...O toccare il culo e il cazzo a un altro uomo senza che questo non susciti lo sguardo malevolo di un credente, od il fastidio d'un'amante...e parlami di un domani e di uno ieri, e scordati per sempre dell'oggi, dell'adesso, dell'ora e del presente...e scordati di una disamistade incongruente col sentimento e torna a sorridere davanti a lei, e ama lei...E parlami di licenziamenti, e di padroni, e di industriali e di stipendi che hai e che non ha chi è in cassa integrazione, ed integriamoci in comunione la domenica mattina davanti alla televisione ad ascoltare due esperti insulsi di concetti avulsi parlarci di teorie fisiche che sforano oltre i libri fisici d'AristoteleE parlami di Platone e delle idee e lascia andare via Galileo, l'inerzia e le galee...E lasciati toccare il fondoschiena, e parlami ancora del tuo corpo e delle tue abilità prenatali, e lasciami giocare con esso, almeno con la fantasia, e poi vai via...e ascolta ancora una canzone da discarica, pescata quasi per caso nel mangiacassette di tuo zio, o nel giradischi di tuo nonnoe torna a leggere il sottosuolo ed i suoi abitanti descritti da un russo che ora mi russa alla porta, mentre io sveglio forse ho di meglio da fare che starlo ad ascoltare...E dimmi ancora che cazzo hai da fare e cosa potrai mai raccontare ai miei nipoti, o figlia mia, non credo tu ci sia, ma qualora ci sarai, non dimenticarmi mai, non dimenticare mai delle parole, e della vita, della via d'uscita, delle sigarette lasciate lì a metà, della stecca di ceralacca di mio nonno, della stecca di fumo dell'amico dell'amico, del bicchiere di glen grant di un poeta, della scia, della coda di una stella cometa..Non scordare mai della notte, la buonanotte...

mercoledì 21 gennaio 2009

La ballata di Pietro Valpreda

Ancora ricordo di tutte quelle volte,
giocavamo in piazza,
tra case, palazzi,
ci amavamo in terrazza,
ci amavamo da pazzi.
Le ricordo ancora, anche oggi che sono morte...
Il mio è un vagare stanco
un camminare oltremodo ripetuto
avanti e indietro, tra il grigio bianco
né partenza né meta, luogo sparuto
Tra queste mura gialle e fracide
il mio cuore secco si doglie
le nostre vite oramai acide.
Neanche il sole il buio toglie.
Se ne parte infine la speranza
ch'io da qui già facevo dipartire
ma forse non era ancora abbastanza
ché ora qui si vuole solo far morire.
Non credo di sapere dove sono
il mio passo è monòtono e monotòno
può darsi che si tratti d'una cella;
forse è solo la pazzia delle mie cervella.
Ancora ricordo di tutte quelle volte,
giocavamo in piazza,
tra case, palazzi,
ci amavamo in terrazza,
ci amavamo da pazzi.
Le ricordo ancora, anche oggi che sono morte...
Era il dì del due volte dodici
io, ballerino, non cercavo alcun guadagno
tre giorni dopo secondo i nostri medici
io confessavo, e si ammazzava un compagno;
si parlava di bombe e della valigia mia
che qualcuno vide con me in Piazza Fontana.
"Egli è stato, era una bomba, e così sia",
dissero, a me povero figlio di puttana.
Figlio di una donna non emancipata
che si vide oppressa da secoli e signori
e anche ora ch'ha scacciati i dittatori
da un suo figlio s'è vista ripudiata.
Passano i minuti, le ore, i giorni
Qui fuori le atomiche sfumano i contorni,
ma sembra che si sia fermato il tempo
e che sussista solo il mio eterno crampo.
Ancora ricordo di tutte quelle volte,
giocavamo in piazza,
tra case, palazzi,
ci amavamo in terrazza,
ci amavamo da pazzi.
Le ricordo ancora, anche oggi che sono morte...
Madre mia, mia unica vera madre
che mi desti questa vita da pezzente
sottraendomi a famiglie borghesi e ladre
tu sola, m'hai reso pulito interiormente.
Non frignare come una vecchia, brutta,
patetica e tisica sul mio letto di morte
non recare ai miei occhi la tua faccia smorta
dal dolore che ti dà la sbarra alle mie porte.
Ascolta, tu che puoi, degl'augelli il canto
pensami quand'ero ancora ballerino
ricorda, felice, di me, di quanto
lottavo per te e per il giusto cammino
E infine possa tu morirti con me
che ti veglio accanto, da figlio
e che io possa custodire sempre te
nel mio cuore rosso vermiglio.
Ancora ricordo di tutte quelle volte,
giocavamo in piazza,
tra case, palazzi,
ci amavamo in terrazza,
ci amavamo da pazzi.
Le ricordo ancora, anche oggi che sono morte...
Nella mia lurida stanza il buio comanda.
Forse che morte già d'entrare domanda?
Cammino ancora e sbatto contro il muro
e il mio naso rotto è come il mio futuro
Provo a parlarti ancora, mia dolce amata
Non rispondi: mentre muoio te ne sei scappata
Ti prego di urlarmi ancora la tua voce
come un fiume s'urla tutto alla sua foce
Mi ricordo di quel bosco di bandiere
in cui impudichi ci siamo a lungo amati
Ora non le trovo più quelle sere...
forse terminerò qui, tra gli impiccati.
Il mio passo si rallenta di nuovo
il cammino io ancora non lo trovo.
E se esistesse solamente la menzogna,
e non libertà e verità per chi le agogna?
Ancora ricordo di tutte quelle volte,
giocavamo in piazza,
tra case, palazzi,
ci amavamo in terrazza,
ci amavamo da pazzi.
Ma tu... tu non eri reale,
mio dolce ideale...
Carlo Guassone

martedì 20 gennaio 2009

Strategia della tensione

Strategia della tensione; così voglio chiamare la demo che sto registrando, creando e lavorando con alcuni miei colleghi di scuola che si dilettano anch'essi nell'arte musicale.
Per ora non c'è altro da aggiungere.